Circolo del cinema di Bellinzona

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CH-6500 Bellinzona

12 SETTEMBRE 2016 -

20 MAGGIO 2017

ROBERTO ROSSELLINI

1945–1959

 

Rossellini, “inventore” del neorealismo


“Hanno detto, scritto e ripetuto in tutti i toni che io ho scoperto una nuova forma di espressione: il neorealismo. È certamente vero poiché, su questo punto, tutti i critici sono d’accordo e nessuno ha mai ragione contro l’opinione generale. Ma non riesco facilmente a lasciarmi convincere. Questo termine di neorealismo è nato con Roma città aperta. Successo a scoppio ritardato, come le bombe dello stesso nome. Quando fu presentato a Cannes nel 1946, il film passò totalmente inosservato. L’hanno scoperto molto più tardi e inoltre non sono sicuro che abbiano ben compreso le mie intenzioni. In quell’occasione mi hanno battezzato l’inventore del neorealismo italiano. Che cosa significa? Io non mi sento affatto solidale con i film che si fanno nel mio paese. Mi sembra evidente che ciascuno possiede il suo proprio realismo e che ciascuno stima che il suo sia il migliore, me compreso. Il mio ‘neorealismo’ personale non è nient’altro che una posizione morale che si può spiegare in tre parole: l’amore del prossimo”[1].
Una posizione morale che consiste nel mettersi a guardare obiettivamente il mondo e le vicende umane, senza portare su di esse nessun giudizio, “perché le cose, in sé, hanno il loro giudizio”[2]; e rifiutando drasticamente la tentazione della spettacolarizzazione, perché “oggetto del film realistico è il ‘mondo’, non la storia, non il racconto”[3]. Sarà lo stesso Rossellini a far notare a chi considerò Roma città aperta come la rivelazione di una nuova tendenza del cinema italiano, che il neorealismo nacque in effetti già anni prima, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, grazie ai suoi film precedenti, da lui stesso definiti “documentari romanzati”: La nave bianca (1941), sul mondo dei feriti su una nave ospedale, Un pilota ritorna (1942), su un pilota fatto prigioniero dagli inglesi, e L’uomo della croce (1943), ambientato durante la campagna di Russia. Certo, Rossellini era ancora in parte prigioniero di quella retorica del fascismo che tendeva a infarcire l’osservazione del reale con artifici spettacolari, ma già si poteva intravvedere, in questi film che costituiscono la “trilogia della guerra fascista”, la sua tendenza ad osservare con sguardo documentaristico l’umanità e la semplicità degli umili, magari senza rendersi ben conto che anche questo poteva servire alla propaganda di un regime che si avviava verso la crisi. E un certo neorealismo in nuce era rintracciabile, sempre secondo Rossellini, anche in certi film (di Mario Bonnard, di Mario Mattoli…) interpretati con creatività tutta romanesca da Anna Magnani e da Aldo Fabrizi, che non a caso ritroveremo come interpreti di Roma città aperta. E da parte nostra non possiamo non citare Ossessione di Visconti (1943), tradizionalmente considerato il primo vero film neorealista, anche se Rossellini forse non lo considerava tale.
In ogni caso Roma città aperta e i due film successivi che costituiscono la cosiddetta “trilogia della guerra antifascista” (Paisà e Germania anno zero), rimangono indiscusse pietre miliari nella storia del neorealismo italiano; e Rossellini, nonostante gli insuccessi commerciali che saranno una costante della sua carriera, e grazie soprattutto ai giovani critici francesi che poi passeranno alla regia nell’avventura della Nouvelle Vague (Truffaut, Godard, Rivette, Rohmer…) diventerà un punto di riferimento imprescindibile per tutto il cinema moderno che ha voluto uscire dagli studi e considerare la macchina da presa come strumento per indagare la realtà (fatti, ambienti, personaggi) senza il filtro della narrazione spettacolare e i fronzoli del cinema di genere.
Dalla fine degli anni Quaranta, Rossellini abbandona i temi della guerra e del dopoguerra, per concentrarsi su aspetti più intimi, indagando il profondo dell’animo umano, spesso non in armonia con il mondo circostante: nascono così altri film fondamentali come L’amore (1948) con Anna Magnani e soprattutto quelli interpretati da Ingrid Bergman nel periodo in cui era divenuta la moglie del regista suscitando l’indignazione e l’ostracismo di Hollywood: Stromboli terra di Dio (1949), Europa 51 (1952), Viaggio in Italia (1953), La paura – Non credo più nell’amore (1954) e Giovanna d’Arco al rogo (1955).
Il nostro omaggio al maestro del neorealismo si chiude con India (1959), film importante perché risultato di una ricerca di nuove forme espressive e anticipatore di quella che sarà la seconda (e meno conosciuta) fase della sua carriera, che lo porterà a battere i sentieri della divulgazione storica e scientifica, passando dal cinema alla televisione.
Da tempo i cineclub ticinesi desideravano dedicare una retrospettiva a Roberto Rossellini, ma non erano mai riusciti ad organizzarla come avrebbero voluto per la difficoltà di reperire le copie dei suoi film e gli aventi diritto. Ora, finalmente, l’occasione si è presentata, grazie alla collaborazione con la Cinémathèque suisse che ci ha messo a disposizione nove fra i suoi film più importanti in copie digitali restaurate.
François Truffaut, che l’ha conosciuto bene e che riconosce apertamente l’influenza che i film di Rossellini hanno avuto sui suoi (in particolare di Germania anno zero su Les quatre cents coups, perché “a parte Vigo, Rossellini è il solo cineasta che ha filmato l’adolescenza evitando il sentimentalismo”) ha detto di lui le parole più semplici e più veritiere: “…era l’uomo di cinema più intelligente, più colto e anche il meno estetizzante. Se è vero che l’artista si nutre della sua stessa nevrosi, allora Rossellini non era un artista, perché non ho incontrato mai nessuno meno narcisista. Detestava la finzione, gli intrighi, i romanzi. Non amava che le opere storiche e scientifiche. Curioso e dotato del gusto dell’informazione, detestava tutto ciò che è vago, sfumato, non formulato, suicida. Come Jean-Paul Sartre, pensava che tutto è comunicabile. Era anche un amico caloroso e buono. Tra la gente celebre che ho conosciuto, era forse il solo che si interessava prima degli altri che di se stesso”[4].

[1] Roberto Rossellini, in H. Hell, Je ne suis pas le père du néo-réalisme, in “Arts”, 16.6.1954, riportato in Gianni Rondolino, Roberto Rossellini, Milano, L’Unità / Il Castoro, 1995
[2] Roberto Rossellini, in P. Baldelli, Roberto Rossellini, Roma, Samonà e Savelli, 1972
[3] Roberto Rossellini, in R. Rossellini e M. Verdone, Colloquio sul neorealismo, in “Bianco e Nero”, a. XIII, n. 2, 1952
[4] François Truffaut, I film della mia vita, Venezia, Marsilio, 1978

Michele Dell’Ambrogio
Circolo del cinema Bellinzona



In collaborazione con

  1. Cinémathèque suisse, Lausanne

Per l’ottenimento delle copie si ringrazia:

  1. Per le copie restaurate in DCP e per i diritti sui film, si ringrazia sentitamente la Cinémathèque suisse di Losanna.