Circolo del cinema di Bellinzona

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CH-6500 Bellinzona

2 SETTEMBRE 2016 -

15 NOVEMBRE 2016

Fare la differenza

Sentieri cinematografici nei boschi dell’identità plurale

 

Aperti sul mondo, comunichiamo la nostra identità e la nostra differenza. La nostra identità si fonda sulla differenza, sulla possibilità di essere riconosciuti attraverso un nome, un viso, una biografia in progress. L’identità contiene la possibilità della differenza, e la differenza contiene un progetto d’identità. Da sempre i sentieri della differenza sono intrecciati a quelli dell’identità; a volte questi sentieri si sovrappongono, altre volte si separano, per poi avvicinarsi di nuovo. Quando procedono in modo armonioso, si arricchiscono reciprocamente, si delineano vicendevolmente. Intersecandosi, tracciano nuove vie, inaugurano nuove opportunità e direzioni. Altre volte, invece, sentieri diversi diventano motivo di confusione, tensione o conflitto. Quando si allontana dalla differenza, l’identità si cristallizza, diventa inerte, si chiude su se stessa, rigetta la differenza fuori dalla sua traccia omologata. Un’identità che cresce, invece, ha confini ridefinibili e in continuo ampliamento, perché riconosce i mutamenti insiti in ogni processo collettivo e individuale. Un’identità di questo tipo accoglie la differenza lungo il proprio percorso: invita all’interscambio, all’incrocio, all’incontro.
La contemporaneità ci mostra quanto sia, a volte, complicato non solo assistere, ma semplicemente coltivare l’incontro, lo scambio interculturale e il dialogo. A questo proposito il sociologo Zygmunt Bauman, in un’intervista del 2004, osservava che il termine identità ha acquisito un’importanza e una centralità nel vocabolario della sociologia e della politologia che prima non conosceva; purtroppo però quando sentiamo la parola identità, molto spesso c’è di mezzo un conflitto[1]. Per questo in tempi difficili come quelli attuali, occorre promuovere la chiarezza, la generosità, il dialogo e la speranza. Occorre affidarsi alla riflessione e alla condivisione, piuttosto che all’impulsività e alla fretta. Occorre agire con tatto, non reagire con la forza.
Il cinema ci dà questa preziosa opportunità di cogliere le cose con un certo distacco, di vedere il reale sotto una luce diversa, e anche di immaginare soluzioni per un futuro migliore. Quando sviluppa uno sguardo, il cinema è uno specchio critico che ci rivela i problemi e spesso ci consegna immagini e storie che ci fanno riflettere, ci obbligano a rivedere i nostri giudizi, le nostre rappresentazioni, le nostre categorie mentali.
Partendo da queste premesse, la rassegna Fare la differenza: sentieri cinematografici nei boschi dell’identità plurale intende sottolineare l’aspetto produttivo, costruttivo e positivo dell’interazione fra identità e differenza. Grazie al cinema, l’obiettivo è di far emergere il valore psicologico, socio-culturale, estetico e creativo di questa interazione. Sulla scia dell’osservazione di Bauman, interrogheremo le derive e gli scontri che emergono da un infelice rapporto fra identità e differenza. Il tema del doppio, che sarà oggetto di due film della rassegna (Dr. Jekill e Mister Hyde di Robert Mamoulian e Despair di Rainer Werner Fassbinder), permetterà di affrontare il divorzio fra l’identità e la differenza, quando la differenza si scolla dall’identità e viene percepita come fattore di minaccia e distruzione. La Passione di Giovanna D’Arco di Carl T. Dreyer declina il tema dell’eterodossia, della condanna del diverso, dell’ignoranza che porta una società a rigettare fuori dal sentiero della convenzione chi la pensa diversamente. Il difficile rapporto fra identità e differenza sarà anche l’occasione per sollevare la questione del dialogo interculturale, particolarmente centrale in pellicole quali Akadimia Platonos di Filippos Tsitos e El abrazo de la serpiente di Ciro Guerra. Il riferimento all’interculturalità, ci sembra, può servire da fil rouge per interpretare l’insieme dei film proposti nella rassegna. In questo senso l’idea di fare la differenza, a cui attinge il titolo della rassegna, sta a indicare che l’esperienza della differenza non è un dato di fatto, oggettivo, e immutabile, ma è il risultato di un processo di interpretazione e di co-costruzione del reale. Differenza e identità sono processi che possono essere interrogati, negoziati, rielaborati. Questo è quanto ci indica il film giapponese Like Father like Son, film nel quale l’identità di un bambino e di una famiglia segue il filo di una storia comune, di esperienze condivise, di un’educazione impartita con amorevolezza (dai genitori) e ricevuta con gratitudine (dai figli); un patrimonio di esperienze condivise che hanno il loro peso, e che difficilmente la scoperta di un equivoco sull’identità biologica può rimettere in discussione.
L’identità è, come detto, aperta al cambiamento, al rimaneggiamento, alla ridefinizione: non è univoca, ma è multipla, plurale. La differenza, la curiosità, l’apertura verso il nuovo costituiscono altrettante spinte creative nei processi di costruzione dell’identità. Da questo punto di vista, le vicende umane raccontate in Weekend e Carol presentano situazioni, personaggi, contesti e esperienze in cui la differenza diventa fonte di senso e ricerca di autenticità, ma anche ulteriore prova – semmai ce ne fosse bisogno – di come l’esperienza della differenza, nelle molteplici forme in cui essa si manifesta, è un vettore importante nella formazione di un’identità autonoma. Her, di Spike Jonze, solleva il problema della differenza fra intelligenza umana e intelligenza artificiale. Il film pone anche il problema dei limiti della tecnologia, dell’alienazione e del vuoto identitario che contraddistinguono la società ipermoderna. Di fronte ai nuovi scenari associati alla tecnologia, quale ruolo può giocare la differenza, l’autenticità, la consapevolezza umana? Come rilanciare l’etica dell’umano in una società sempre più dominata dalla tecnologia, e come interagire in modo costruttivo con le nuove tecnologie dell’identità e della differenza?
Le declinazioni dell’identità e della differenza sono davvero tante, e tanti sono gli scenari che si profilano interrogando la relazione fra queste due nozioni. Per ottenere un quadro più completo occorre, a mio modo di vedere, aggiungere un terzo termine, il verbo “relativizzare”. A questo proposito, il documentario di Silvio Soldini Per altri occhi – che restituisce le testimonianze di alcune persone non vedenti –, ci aiuta a capire perché. Pur soffermandosi sulla condizione particolare dei non vedenti, il documentario lascia intravedere la possibilità di ridimensionare la differenza, di rapportarsi ad essa per inserirla in una visione inclusiva in cui la differenza non è opposta alla normalità; ma semmai la rende più flessibile, più creativa, restituisce alla normalità la possibilità di essere normalità “differente”, che caratterizza ognuno di noi. Ma è forse un passo del sociologo Erving Goffman, tratto da Stigma. L’identità negata – uno dei suoi saggi più famosi –, a farci riflettere su cosa significhi “relativizzare” nel contesto in cui portiamo avanti questa riflessione. Goffman in Stigma fa notare come l’incapacità di accettare l’amore umano è un problema di gran lunga peggiore della perdita della vista[2]. L’osservazione di Goffman ha il pregio, se non altro, di “relativizzare” senza per questo sminuire la condizione dei non vedenti.
Last but not least, vorrei ricordare che la rassegna si avvale della felice collaborazione con alcune associazioni locali, l’UNITAS, Inter-Agire e Imbarco immediato, che da anni lavorano su tematiche affini a quelle proposte dalla nostra rassegna, e che ringraziamo per aver apportato un valore aggiunto alle nostre proposte cinematografiche. Queste collaborazioni ci hanno permesso di organizzare alcuni incontri, opportunamente segnalati nel programma, per stimolare la condivisione, il dibattito e lo scambio. Un grande grazie va anche alla Biblioteca Cantonale di Bellinzona e a quella di Locarno, che ospiteranno gli incontri. Detto questo, non mi resta che augurarvi una buona visione!

[1] Zygmunt Bauman, Identity, Polity Press, 2004.
[2] Erving Goffman, Stigma. L’identità negata, Giuffrè, Milano, 1983.


Sebastiano Caroni
Circolo del cinema Bellinzona



In collaborazione con:

  1. Inter-Agire

  2. UNITAS

  3. Imbarco immediato

Per l’ottenimento delle copie si ringrazia:

  1. Cinémathèque suisse, Lausanne

  2. Trigon-film, Ennetbaden

  3. Pathé Films, Zürich

  4. Ascot-Elite, Zürich

  5. Ventura Film, Meride

  6. Agora Films, Genève

  7. Praesens Film/MPCL, Zürich

  8. Arthouse Movie, Zürich

  9. Associazione REC, Lugano


  10. Per il film La passion de Jeanne d’Arc di Carl Theodor Dreyer non siamo riusciti, nonostante i nostri tentativi, ad ottenere risposta dagli aventi diritto. Siamo comunque disponibili a soddisfare eventuali pretese in tal senso.