Circolo del cinema di Bellinzona

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CH-6500 Bellinzona

7 SETTEMBRE 2013 -

18 MAGGIO 2014

MICHAEL HANEKE

 

È meglio dirlo subito: la tradizionale retrospettiva a scadenza mensile che i cineclub ticinesi dedicano quest’anno al regista austriaco Michael Haneke non è consigliata a quelle persone che dal cinema si aspettano visioni consolatorie o storielle più o meno dolciastre. Il regista austriaco è uno che osserva con implacabile freddezza la realtà dei rapporti umani, la violenza che sembra inestirpabile dalla società moderna, la disintegrazione della famiglia e il potere subdolo dei media. Tutti lo conoscono, ormai, per le due Palme d’oro ricevute a Cannes ( Amour l’anno scorso, Das weisse Band / Il nastro bianco nel 2009), cui vanno aggiunti il Premio alla regia per Caché / Niente da nascondere nel 2005 e il Gran Premio della giuria (oltre a quello per le migliori interpretazioni a Isabelle Huppert e Benoît Magimel) per La pianiste nel 2001. È difficile trovare un autore così pluripremiato sulla Croisette, eppure buona parte della critica francese (capitanata dai cinefili snobisti dei “Cahiers du cinéma”) continua a rimanere diffidente nei suoi confronti.
Il primo riconoscimento internazionale per Haneke è venuto però dal Festival di Locarno, che gli aveva assegnato il Pardo di bronzo nel 1989 per Der siebente Kontinent, il suo debutto sul grande schermo. Nato a Monaco di Baviera nel 1942, figlio di attori, ha studiato psicologia e filosofia a Vienna, poi si è orientato verso lo spettacolo, dapprima come critico cinematografico, poi come direttore artistico di drammi televisivi presso il Südwestfunk di Baden Baden e regista teatrale in Germania e in Austria. Dal 1974 al 1986 gira parecchi film per la televisione austriaca, che sono considerati dalla critica fra le migliori espressioni del telefilm in lingua tedesca e che contengono già tutte le premesse tematiche e stilistiche che saranno poi sviluppate nella sua attività per il cinema, che inizia alla fine degli anni ’80. La retrospettiva proposta dai cineclub comprende tutti i lungometraggi realizzati da Haneke per il cinema. Più della metà sono autentiche chicche, trattandosi di film mai distribuiti in Svizzera. E per i primi cinque dobbiamo ringraziare la Cinémathèque suisse di Losanna, che ha avuto il coraggio di acquisirne i diritti e di diffonderli attraverso i circuiti culturali. I primi tre (Der siebente Kontinent, Benny’s Video e 71 Fragmente einer Chronologie des Zufall’s) compongono quella che Haneke ha chiamato la “Trilogia della glaciazione emozionale”, per la quale viene dichiarato il debito con Robert Bresson e in cui Haneke affina il suo metodo di austero e impassibile analista clinico del male che serpeggia nel mondo contemporaneo.
Das Schloss (1997), tratto dall’omonimo romanzo di Kafka, appartiene invece alle produzioni televisive del regista e ben ne testimonia l’alto livello qualitativo, mentre Funny Games (dello stesso anno), che provocò lo scandalo a Cannes e si può considerare l’estrema conseguenza del suo discorso sulla rappresentazione della violenza nel cinema, segna in un certo senso l’apice di questa sua prima fase creativa. Di questo film, Haneke firmerà un remake dieci anni dopo, girato negli Stati Uniti con attori americani e destinato a toccare quel grande pubblico che il primo non era stato in grado di raggiungere (Funny Games U.S., 2007).
Sarà con La pianiste (2001), e con l’impulso dei riconoscimenti ottenuti a Cannes, che il regista inizia la seconda parte della sua carriera, quella internazionalmente più conosciuta, ma che sostanzialmente è il proseguimento coerente e il perfezionamento delle esperienza fatte in passato. Già a partire da Code inconnu (2000) preferirà lavorare in Francia con attori francesi (Isabelle Huppert, Annie Girardot, Juliette Binoche, Emmanuelle Riva, Benoît Magimel, Daniel Auteuil, Jen-Louis Trintignant…), con le eccezioni del citato Funny Games U.S. e di Das weisse Band (2009), con il quale affonda il suo bisturi nella Germania del 1913.
Il cinema di Haneke disturba le nostre coscienze, ci inquieta perché rifugge da ogni spiegazione psicologica o sociologica dei comportamenti umani. Il regista si limita a mostrare, con lo sguardo freddo dell’entomologo, un mondo frammentato, dominato dal caso, in cui aberrazioni e istinti aggressivi esplodono inaspettati. Anche se la violenza non viene mai enfatizzata in stile hollywoodiano, ma tenuta a distanza, il più delle volte confinata nel fuori campo. E anche se, negli ultimi film, sembra farsi strada una forma inedita di empatia per i personaggi, al punto che, in Amour, crudeltà e amore si fondono in un unico, indimenticabile slancio.



Michele Dell’Ambrogio

Circolo del cinema Bellinzona




Per l’ottenimento delle copie e dei diritti si ringraziano:

  1. Cinémathèque suisse, Lausanne

  2. MK2, Paris

  3. Xenix Filmdistribution, Zürich

  4. Frenetic Films, Zürich

  5. Filmcoopi, Zürich