16 settembre – 28 ottobre 2025 |
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Perché è lecito e giusto parlare di «laboratorio» per l’attività artistica del napoletano Mario Martone? Perché i suoi film non nascono dal nulla, ma sono l’esito di una lunga esperienza teatrale, iniziata già nel 1977 e a tutt’oggi non abbandonata. Perché il suo cinema è strettamente intrecciato con innumerevoli altre attività: performance, installazioni, regie teatrali e di opere liriche, lavori per la radio e la televisione. Un caso più unico che raro nella storia del cinema italiano. Non si tratta infatti, nel suo caso, di semplicemente dividersi fra i diversi mezzi espressivi, ma piuttosto di un continuo travaso di un’esperienza nell’altra, di una contaminazione costante tra i diversi campi che permette di ritrovare il teatro nel cinema e il cinema nel teatro. Martone, nato nel 1959, entra giovanissimo in quel gruppo di artisti napoletani che sul finire degli anni ’70 diedero vita a un movimento profondamente innovativo, nel teatro ma non solo. Già nel 1979, con Pasquale Mari, Angelo Curti e Andrea Renzi, fonda il gruppo Falso Movimento, che mette in scena spettacoli in Europa e negli Stati Uniti. Qualche anno più tardi, nel 1987, dopo l’incontro con gli attori Antonio Neiwiller e Toni Servillo, nasce il laboratorio di Teatri Uniti, compagnia fondata sulla relazione costitutiva tra teatro e cinema, che si propone di essere un crocevia di collaborazioni e di scambi umani e professionali tra personalità diverse per età, esperienze e provenienza. Il folgorante esordio nel cinema con Morte di un matematico napoletano (1992) non può essere compreso senza tener conto di questo background culturale. Da lì in poi, Martone prosegue la sua intensa carriera cinematografica alternandola fino ad oggi con regie di testi teatrali, di spettacoli multimediali e di opere liriche. E anche assumendo, nel 1999 e per due stagioni, la direzione artistica del Teatro di Roma, ereditata da Luca Ronconi. Come si può definire il cinema di Martone? Lasciamo la parola al regista: «Il mio cinema è certamente fatto di argomenti drammatici, non c’è dubbio, però è sempre in atto quella che io chiamo la macchina comica che non serve solo per far ridere. Cito due nomi: Cechov e Beckett, per non parlare di Eduardo De Filippo con cui si ride sempre molto, ma non solo (…). Carlo Cecchi (l’attore protagonista di Morte di un matematico napoletano) ha messo in scena Beckett in maniera indimenticabile. Se qualcuno ha visto il suo Finale di partita, che ho anche filmato per la televisione, nel quale Cecchi tira fuori tutto l’aspetto comico di un tragicissimo, non si può non pensare a Leopardi: ’Dicono i poeti che la disperazione ha sempre nella bocca un sorriso’. Beckett, invece, scrive che ’Non c’è niente di più comico dell’infelicità’ (…). La macchina comica significa due cose: ritmo e sguardo non sentimentale sul mondo. Uno sguardo disincantato e lucido sul mondo, in grado di riderne, e poi il ritmo (…). Penso che l’efficacia del dialogo stia fondamentalmente nel ritmo e in un’osservazione degli esseri umani distaccata e quindi inevitabilmente comica. I miei però, rimangono film drammatici. E a chi me lo chiede direttamente rispondo che non farei mai un film comico». La nostra rassegna, forzatamente ridotta rispetto a una produzione eccezionalmente cospicua, si concentra su due film degli esordi (Morte di un matematico napoletano e L’amore molesto, del 1995) e su parte delle realizzazioni più recenti (da Il giovane favoloso, 2014, al documentario su Massimo Troisi Laggiù qualcuno mi ama, 2023). Nel frattempo si potrà ammirare nelle sale ticinesi anche il suo ultimo film, Fuori, presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, in cui Valeria Golino incarna il personaggio di Goliarda Sapienza. Ci piace poi ricordare anche la collaborazione del nostro Renato Berta con Martone, per il quale ha curato la fotografia di quattro film, di cui due presenti nella rassegna: Il giovane favoloso e Qui rido io (gli altri sono Noi credevamo, del 2010, e il corto Pastorale cilentana, del 2015). Per Berta è fondamentale che il direttore della fotografia possa avere un rapporto sul set con gli attori (cosa che non avviene con tutti i registi!), mentre con Martone c’è stata subito, come dichiara, «una bella sintonia (…). Con Mario non ho avuto alcun problema, anzi, spesso abbiamo preso delle posizioni ’rigide’ ma lo abbiamo fatto assieme». Entriamo quindi in questo «laboratorio permanente» di Mario Martone e dei suoi fedeli collaboratori, alla scoperta di un cinema in continua evoluzione ma sempre attento alla realtà, napoletana e non solo, capace di farsi contaminare da tante altre esperienze artistiche, senza tuttavia perdere di vista la sua esigenza primaria, quella di essere un viaggio ininterrotto per cercare di capire il mondo, l’essere umano tra passato e presente. Michele Dell’Ambrogio Circolo del cinema Bellinzona Nota: tutte le frasi riportate tra virgolette (dalle dichiarazioni di Martone a quelle di Renato Berta) sono tratte dal volume, pubblicato in occasione della 58a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, Mario Martone. Il cinema e i film, a cura di Pedro Armocida e Giona A. Nazzaro, Venezia, Marsilio, 2022. |
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