HOLLYWOOD
ANNI '30 - '40


QUANDO LA COMMEDIA ERA SOFISTICATA

13.01.05 / 11.03.05

HOLLYWOOD ANNI ’30 - ‘40

QUANDO LA COMMEDIA ERA SOFISTICATA

Gennaio-febbraio 2005

Circolo del cinema Bellinzona / LuganoCinema 93 / Circolo del cinema Locarno
In collaborazione con LAB 80 Bergamo

Con l’avvento del sonoro si sviluppa all’interno del cinema comico hollywoodiano un genere a sé stante, inizialmente definto «screwball comedy», cioè letteralmente «commedia svitata», e poi più propriamente «sophisticated comedy», vista la tendenza all’ambientazione nel mondo dei ricchi, dei gentiluomini sfaccendati e delle signore irrequiete d’alto bordo. Il periodo di massimo fulgore di questo genere è quello degli anni Trenta e dei primi anni Quaranta, prima che la guerra provochi un bisogno di maggior realismo anche nel campo del cinema «leggero» come è considerato quello della commedia: protagonisti della «sofisticata» sono spesso milionari imbambolati e poco esperti nell’arte dell’amore, ma soprattutto femmine scaltre e determinate che conducono il gioco assecondando i loro capricci e costringendo il povero maschio alla resa. Questo genere, come ha ben sottolineato Ermanno Comuzio, «si distingue dalla generica commedia cinematografica che conclude con l’immancabile premio alla virtù e ai buoni sentimenti», per inoltrarsi nei territori di un mondo impazzito, popolato da personaggi lontanissimi dalle abitudini quotidiane dello spettatore medio; è dunque «il trionfo della convenzione, l’apoteosi della finzione accettata come tale, ossia un gioco di società, una partita elegante le cui pedine non sono uomini e donne di carne e di sangue, ma piacevoli marionette, figurine vivaci di un teatrino che rappresenta del mondo solo l’aspetto gaio o ironico» (1). Tema dominante è evidentemente l’amore, il rapporto di coppia complicato da mille impedimenti, il corteggiamento spregiudicato; e la vis comica è tutta affidata ai dialoghi, serrati e implacabili, densi di doppi sensi e intrisi di una carica eversiva che nemmeno l’immancabile happy end riesce a smussare. La commedia sofisticata celebra il trionfo della donna, che, come ha notato Guido Fink, «non è solo ragazza in carriera, o ex moglie da riconquistare, o ereditiera capricciosa», ma che «spesso, tradizionalmente, ha il compito di incarnare il mistero, l’indecifrabile, il Doppio: riallacciandosi a quel motivo inquietante dei travestimenti, delle somiglianze e degli scambi di persona che la commedia shakespeariana (...) aveva già portato a vertici inarrivabili» (2). Come avviene in Lady Eve di Preston Sturges, dove Barbara Stanwick, senza nemmeno tentare di mascherarsi, gioca il doppio ruolo della cinica avventuriera e della lady aristocratica, abbindolando il timido e impacciato milionario Charles Pike, interpretato da Henri Fonda. Ma prima di Sturges, altri registi si sono dedicati con talento a questo genere: a cominciare dal più grande di tutti, il berlinese Ernst Lubitsch, emigrato in America nel 1923, per il quale la commedia sofisticata sembra diventare l’unica rappresentazione filmica possibile e del quale la rassegna presenta quello che lui stesso considerava il suo capolavoro, Trouble in Paradise (Mancia competente, 1932), una vicenda di illusioni e menzogne ambientata tra Venezia e Parigi, in un mondo artificiale e irreale, dove anche l’amore finisce per essere «una chimera destinata a durare poco» (Mereghetti). Poi ci sono Leo McCarey, conosciuto come l’ «inventore della coppia Stan Laurel/Oliver Hardy e come regista di Duck Soup con i fratelli Marx (1933), ma che proprio nella «sofisticata» ha saputo dare il meglio di sé, come ben testimoniato da The Awful Truth (L’orribile verità, 1937), una irresistibile schermaglia d’amore tra due coniugi decisi a divorziare perché minacciati dal reciproco adulterio ma che alla fine si riscoprono uniti e appagati proprio attraverso i loro litigi; e Mitchell Leisen, cresciuto come scenografo e costumista negli anni ’20 e  poi dedicatosi alla commedia brillante al cui servizio ha portato il suo raffinato gusto per le ambientazioni, come si può vedere in Midnight (La signora di mezzanotte, 1939). Completa la breve rassegna il grande George Cukor, il cui Philadelphia Story (Scandalo a Filadelfia, 1940) si impone come uno dei capolavori del genere anche grazie alla presenza di attori del calibro di Katharine Hepburn (nei panni di una ereditiera viziata ed arrogante), James Stewart e Cary Grant.

Non figurano qui altri specialisti del genere, come Frank Capra, Howard Hawks e Gregory La Cava, ma i cinque film proposti (in ottime copie in versione originale con sottotitoli in italiano distribuite dalla LAB 80 di Bergamo) sono comunque un degno assaggio che permetterà al pubblico dei cineclub di verificare la perfezione raggiunta in quegli anni dall’industria hollywoodiana e di cominciare il nuovo anno all’insegna del divertimento intelligente e graffiante.

Michele Dell’Ambrogio
Circolo del cinema Bellinzona

 

1)        in F. Di Giammatteo, Dizionario universale del cinema, 2, Roma, Editori Riuniti, 1985, p. 99.

2)        in AA.VV., Storia del cinema mondiale. Gli Stati Uniti, II, Torino, Einaudi, 1999, p. 1034.


Le schede sui film, quando non indicato diversamente, sono tratte da Fernaldo Di Giammatteo, Nuovo dizionario universale del cinema. I film, Roma, Editori Riuniti, 1994

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