Circolo del cinema di Bellinzona


casella postale 1202

CH6500 Bellinzona

MORIRE

ottobre - novembre 2010

 

Presentazione

L’idea di una rassegna sul tema del Morire è nata dall’incontro con Fabio Soldini, il curatore del ciclo di tre mostre a Casa Croci di Mendrisio intitolato Sul filo del tempo: la prima tappa, nel 2008, era dedicata al Nascere; la seconda, l’anno scorso, allo Sposare; e la terza, quest’anno, al Morire. La proposta di affiancare alla mostra un ciclo di film ci è parsa subito molto interessante, perché se è vero che non esiste quasi nessun film dove non muoia un buon numero di personaggi, è altrettanto vero che una rappresentazione meno stereotipata e superficiale della morte, rispetto a quella offertaci dai film di genere, non è occasione che si presenti tutti i giorni.

Per il grande critico francese André Bazin (uno dei fondatori dei prestigiosi Cahiers du cinéma e padre putativo di François Truffaut), la morte, al pari del sesso, non poteva essere rappresentata nella finzione cinematografica, in quanto considerata un’ “oscenità”, non morale come nel caso del sesso, bensì “metafisica”. Essendo il cinema, come le altre arti plastiche, il tentativo dell’uomo di difendersi dal tempo, di fissare “le apparenze carnali dell’essere per strapparlo al flusso della durata”, l’atto sessuale e la morte diventano dei tabù cinematografici, in quanto l’uno e l’altro rappresentano la “vittoria del tempo”, sono “l’istante qualificativo allo stato puro” e quindi si possono solo vivere, non rappresentare.

Bazin scriveva queste cose nella seconda metà degli anni Quaranta. In seguito molti registi, da Dreyer a Bresson, da Bergman a Pasolini, da Buñuel a molti contemporanei hanno cercato di infrangere il suo divieto e di affrontare il tema della morte con profonda consapevolezza e con scelte stilistiche originali. Nella nostra rassegna, che evidentemente non vuol essere esaustiva, abbiamo scelto alcuni esempi, molti dei quali ci giungono da culture lontane (dall’Africa, dal Giappone), nelle quali la morte incute sì paura e sgomento come da noi, ma viene più facilmente accettata come una presenza ineludibile nell’esistenza e nella coscienza dell’uomo, senza subire quel processo di rimozione tipico della cultura occidentale.

Pensare alla morte può voler dire riflettere su quel che ci attende (se mai ci attende qualcosa) nell’aldilà: questo aspetto è affrontato nel film di Hirokazu Kore-eda After Life, in programma a Mendrisio e a Locarno; e in parte (ma solo di striscio) nello straordinario documentario dello svizzero Peter Liechti The Sound of Insects, previsto solo a Bellinzona, che fondamentalmente pone l’accento su che cosa voglia dire vivere gli ultimi giorni in attesa di una morte sicura, dopo aver rifiutato ogni consolazione materiale che il consumismo della società offre come palliativo della propria sofferenza.

Ma la morte tocca solitamente in maniera più incisiva quelli che restano, rispetto a quelli che vanno. E di questo si occupano quasi tutti gli altri film della rassegna. Trois couleurs: Bleu di Krzysztof Kieslowski e Sous le sable di François Ozon indagano, ognuno a suo modo, sulla difficoltà o in certi casi sull’impossibilità di elaborare il lutto per la scomparsa della persona amata. La commedia messicana Cinco días sin Nora della giovane regista Mariana Chenillo propone invece un agrodolce divertissement sulle non poche difficoltà che incontra chi si accinge ad esaudire le volontà funerarie di un defunto, quando a complicare le pratiche burocratiche intervengono anche arcani precetti religiosi. L’altro film messicano in programma, Stellet Licht di Carlos Reygadas, si rifà a suo modo all’Ordet di Dreyer, scavando nei sentimenti degli adepti di una comunità mennonita e sorprendendo lo spettatore con la sequenza di una resurrezione provocata attraverso la sola forza dell’amore. Altri due film (oltre al già citato After Life) ci invitano a penetrare nel misterioso universo della cultura giapponese e in concezioni della morte assai lontane dalle nostre: La ballata di Narayama di Shoei Imamura (Palma d’oro a Cannes nel 1983) ci ricorda come gli anziani debbano e vogliano morire per lasciare il posto ai giovani, mentre L’uomo che dorme di Kohei Oguri è fortemente intriso di minimalismo zen e suggerisce quanto vita e morte non possano essere concepite come entità contrapposte. E per finire Yeelen dell’africano Souleyman Cissé tenta l’operazione forse più difficile: quella di rendere visibile l’invisibile, e quindi anche la morte, che aleggia lungo tutto il percorso di iniziazione del protagonista.

Michele Dell’Ambrogio, Circolo del cinema Bellinzona


Come si muore nei film, testo di Michele Dell’Ambrogio    >>>scarica il pdf completo >>> la_morte_al_cinema.pdf


 

Rassegna cinematografica organizzata col sostegno del Museo d’arte di Mendrisio,
nell’ambito della mostra Sul filo del tempo. Morire, che si tiene a Casa Croci, Mendrisio, dal 20 ottobre al 18 dicembre 2010