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M M, IL MOSTRO DI DÜSSELDORF, Germania 1931
Una città tedesca è terrorizzata dal maniaco Hans Beckert (Lorre), che violenta e uccide bambine. Per allentare la pressione delle forze dell'ordine la malavita, in collaborazione con i mendicanti, cattura e processa il maniaco, ma non riesce a giustiziarlo per l'arrivo della polizia. Al suo primo film parlato, Lang continua a impiegare con maestria le metafore visive e le immagini evocative che avevano fatto grande il muto (celebre la successione della sedia vuota e della scala deserta, che suggerisce per litote l'omicidio della piccola Elsie), e insieme si avvale in modo assai moderno delle risorse del sonoro (l'urlo della madre di Elsie che rimbomba nei luoghi vuoti). A caratterizzare - e incastrare - il mostro, un uomo grigio e anonimo (e perciò tanto più terrificante) è proprio il motivetto che fischia (fu Lang a zufolarlo, visto che Lorre non ne era capace). Temi come quello dell'opposizione tra giustizia privata e giustizia ufficiale continueranno a essere scandagliati nell'opera successiva. Dopo i primi film su Mabuse, Lang umanizza il mostro, e lo rende vittima nella scena finale del processo (che deve qualcosa all'Opera da tre soldi di Brecht), dove Lorre, muto per quasi tutto il film, raggela e commuove con la sua voce chioccia. (…) Lang si ispirò al caso di peter Kürten, il celebre “Vampiro di Düsseldorf” giustiziato nel 1931. Rifatto da Losey col titolo “M”. Ma poi mi stancai delle grandi produzioni (noi le chiamavamo Schinken, che letteralmente vuol dire “prosciutto”, ma con un significato diverso da quello che qui intendete con “prosciutto”). Ho fatto M come reazione a questo genere di film. E da quel giorno in avanti ho sempre rifiutato le cosiddette “grandi produzioni”, gli spettacoli con enormi scene di massa. Noi li chiamavamo “film monumentali”. (Fritz Lang, 2) |
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