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Circolo del Cinema Bellinzona

NANNI MORETTI


10 gennaio – 15 marzo 2022

Nanni Moretti - immagine

Nel 1991 i Circoli del cinema di Bellinzona e di Locarno avevano organizzato una retrospettiva di tutti i lungometraggi realizzati da Nanni Moretti da Io sono un autarchico (1976) a Palombella rossa (1989). Nello stesso anno era poi visibile nelle sale anche La cosa (1990).
La presente rassegna è nata da un’idea di LuganoCinema93, che non avendo partecipato alla retrospettiva del 1991 ha scelto un programma comprendente anche film degli anni ’70 e ’80: Ecce Bombo (1978), La messa è finita (1985), Palombella rossa, ed escludendo Aprile (1998).
Bellinzona e Locarno hanno invece optato per una “seconda parte” della retrospettiva del 1991, con tutti i lungometraggi di Moretti da Caro diario (1993) a Tre piani (2021).
Purtroppo, per un disguido, sulla locandina cartacea non figura la scheda di Aprile, che però potete trovare qui.


In Santiago, Italia, il suo documentario sui rifugiati cileni del periodo successivo al golpe contro Salvador Allende si vede lo stralcio di un dialogo in cui un vecchio signore intervistato dice: “Mi avevano detto che questa intervista sarebbe stata imparziale”, e Moretti risponde “Io non sono imparziale”: quello che ci incuriosisce di questo regista, è la sua opinione. Nanni Moretti è sempre al centro dei suoi film, anche quando non è il protagonista. Lo è quando sono protagoniste le sue inquietudini, le sue nevrosi, la sua ironia, le sue passioni e le sue ossessioni: il suo cinema è un cinema personale, è una concrezione cinematografica della sua soggettività. Quello che ci attrae del suo modo di fare arte è proprio questa totalità espressiva che si manifesta non solo attraverso il Moretti attore e regista ma anche in quell’uomo che è così palesemente messo a nudo, che si arrabbia come un pazzo e si ingozza di dolci.
La sua filmografia, infatti, si può leggere come una biografia divisa in quattro fasi diverse, ognuna delle quali modellata a seconda del periodo esistenziale che il regista stava vivendo. C’è un Moretti embrionale, quello dei cortometraggi difficilmente reperibili in Super8 alla Come parli frate? che lo portano fino al primo inaspettatamente acclamato lungometraggio, Io sono un autarchico, anch’esso irreperibile.
La seconda fase prende una piega più distaccata. Da Bianca in poi, infatti, sembra quasi che attraverso l’uso di trame più lineari e di soggetti meno autobiografici per il regista sia ancora più semplice dare una forma alla rappresentazione di sé. Qui vediamo Moretti che si traveste da maniaco ossessivo, incapace di amare se non attraverso il controllo opprimente delle vite degli altri. Il film è disseminato di indizi che riconducono alla personalità del regista, dalla passione a tratti patologica per i dolci – già più volte rappresentata – del famoso “Lei non faccia il tunnel”, all’attenzione malata per le scarpe. Michele Apicella abbandona per poco la scena e diventa Don Giulio de La messa è finita, ma il carattere rimane praticamente sempre quello, dalla rigidità di giudizio alla smania di controllare gli altri, fino all’incomunicabilità familiare.
Con gli anni Novanta ha inizio la terza fase, che è quella dove Michele Apicella muore e Moretti non ha più bisogno di un alias per parlare di sé. Caro diario è un racconto in prima persona del regista, un giro in Vespa attraverso una Roma personale, non quella della cinematografia classica ma la versione molto più intima dei luoghi eletti senza necessità di adeguarsi al cliché. Un percorso nel quale ci facciamo guidare senza indugi, con la dose consueta di ironia – quella dei figli unici a Salina, per esempio, o della recensione a Harry a pioggia di sangue – nella parte più inquietante che riguarda la sua malattia, con i filmati e le occhiaie vere della chemio. Aprile celebra ancora di più questa dimensione privata, che ci guida nell’evento cruciale della nascita di un figlio, oltre che nell’auto-citazione di quel famoso pasticciere trotskista. E poi, ovviamente, c’è la politica, ci sono le canne davanti alla tv e al trionfo di Berlusconi, c’è D’Alema e la sua “cosa di sinistra” che non viene proprio fuori. Il film non è solo un diario della propria vita, ma è anche un monito alla fase storica in cui è ambientato, la fine di un secolo e l’inizio di una lunga notte. E poi, con gli anni Duemila, con l’ultimo blocco di film Moretti torna a parlare di altro per parlare di sé, ma questa volta in modo più rarefatto, meno percettibile, forse più maturo, con meno impulso alla verbosità arrabbiata del “Io non parlo di cose che non conosco”. La stanza del figlio esorcizza una paura ancestrale, quella di un padre che perde un figlio, mentre Il caimano si impone come necessità in periodo di berlusconismo spietato e selvaggio. Ma la vera svolta avviene con Habemus Papam, in cui Moretti riesce ad accontentare Dino Risi e a eclissarsi per quasi tutto il film, fungendo solo da ruolo strumentale per una trama che ha tutta l’intensità di una riflessione adulta e tragica. La profezia delle dimissioni del Papa passa in secondo piano, per quanto sorprendente – così come quella di Palombella rossa o de Il caimano – se ci concentriamo sulla delicatezza di un film che riesce a dare forma alla nevrosi matura di un uomo che si domanda la cosa più banale, ma anche quella più imperscrutabile: a cosa serviamo noi? E poi, alla fine, arriva Mia Madre, dove non c’è spazio per il ragazzo acido e rissoso né per Michele Apicella e neppure per i giri in Vespa, ma solo quella che forse è la forma più pura in assoluto in cui Nanni Moretti ha deciso di rappresentarsi, perché anche nella scelta di affidare a una donna la parte di sé stesso si rivela una parte di lui.
E infine Tre piani, in cui Moretti per la prima volta mette in scena la storia di Eshkol Nevo traslocandola a Roma con padri rigidi, mariti assenti, donne che amano troppo, fantasmi borghesi. Ritroviamo in questo film un tema ricorrente nella sua filmografia, forse decisivo per comprenderne l’evoluzione: la responsabilità verso i figli. E dunque il dovere di educarli, la paura di perderli, la speranza di ritrovarli. Il giovane incazzato verso una o più generazioni di adulti da accusare: la sfuriata sul corpo della madre suicida in La messa è finita, il rimpianto rabbioso verso i ricordi d’infanzia in Palombella rossa, con Aprile e il racconto della nascita del figlio Pietro è diventato un genitore che sente il bisogno di tematizzare le sue paure, la morte La stanza del figlio, la separazione Il caimano, la solitudine dopo la morte della madre Mia Madre.

Da Il cinema di Nanni Moretti è un cinema personale, ed è bello per questo di Alice Oliveri in www.thevision.com e Roberto Manassero in Cineforum.

A cura di Mariano Morace.

APRILE


CARO DIARIO


ECCE BOMBO


HABEMUS PAPAM


IL CAIMANO


LA MESSA È FINITA


LA STANZA DEL FIGLIO


MIA MADRE


PALOMBELLA ROSSA


SANTIAGO, ITALIA


TRE PIANI



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Ultimo aggiornamento: 15 dicembre 2021

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