CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Luis Buñuel

parte seconda 1958 – 1977

"Ateo, per grazia di Dio": forse è proprio a partire da questo celebre paradosso che si può capire la maggior parte dei film che vengono presentati in questa seconda parte della retrospettiva dedicata a Luis Buñuel. Dopo i manifesti della stagione surrealista e le rare chicche del periodo messicano che hanno costituito il menu della prima parte (settembre 2001-aprile 2002), il viaggio all’interno dell’opera del grande regista spagnolo ci permette di (ri)vedere i suoi film più conosciuti, quelli che hanno fatto la gloria dei cineclub degli anni Sessanta e quelli che la generazione degli attuali cinquantenni andava scoprendo nel decennio successivo, rendendosi sempre più conto di come lo spirito iconoclasta e antiborghese di Buñuel fosse destinato ad accompagnarlo fino alla morte.
Si comincia con l’ultimo capolavoro messicano, Nazarín, favola ironica e rigorosa sui limiti del Cristianesimo, incapace di conciliare i suoi slanci caritatevoli con un’analisi dei rapporti di forza che regolano la vita degli individui all’interno della società. Lo stesso tema viene approfondito in Viridiana, primo film di Buñuel girato in Spagna quasi trent’anni dopo Las Hurdes, che provocò le ire di Franco e di tutto l’establishment catto-fascista spagnolo per la sua provocatoria irreligiosità. Tanto che il regista sarà costretto a ritornare in Messico, da dove continuerà a lanciare i suoi strali sia contro la borghesia (El angel exterminador) sia contro la religione (Simon del desierto).
Ma non si può veramente capire l’irriverente polemica antireligiosa di Buñuel, senza considerare la sua infanzia, trascorsa assai felicemente a Calanda ma segnata dall’estenuante rullio dei tamburi che accompagnavano per tutta la notte la processione della settimana santa, e la sua educazione adolescenziale in un collegio di gesuiti. Come spesso accade, il violento rifiuto del cattolicesimo lo porterà a confrontarsi fino alla fine della carriera con i fantasmi delle sue icone, di cui continuerà a subire il fascino nonostante la sua scelta di vita decisamente laica.
Nel 1964, con Le journal d’une femme de chambre, tratto dal romanzo di Octave Mirbeau, inizia la felice collaborazione del regista con lo sceneggiatore Jean-Claude Carrière e con il produttore Serge Silberman. È l’ultimo periodo francese, nel quale Buñuel, finalmente libero dalle costrizioni produttive che lo avevano condizionato in Messico, continua ad esprimersi in totale libertà, fino a quando, ormai prossimo agli ottant’anni, decide che il cinema non riesce più a divertirlo. Lungi dall’affievolirsi, il suo humour dissacrante e il suo spirito anarchico lo accompagnano fino all’ultimo, segnando in modo indelebile i film realizzati dal 1966 in poi: Belle de jour, che ottiene anche un incredibile successo commerciale, La voie lactée, con cui torna a sbeffeggiare i dogmi e i dibattiti teologici del Cristianesimo, Tristana e soprattutto quegli ultimi tre capolavori dell’assurdo, ridenti e luminose apologie antiborghesi intrise di indomito spirito surrealista e di humour nero, che sono Le charme discret de la bourgeoisie, Le fantôme de la liberté e Cet obscur objet du désir.
Con l’inizio del nuovo millennio, passato l’anno del centenario (Buñuel era nato a Calanda nel 1900), l’opera di questo grande artigiano del cinema sembra essere tornata nell’oblio che questi nostri tristi tempi riservano alle cose migliori del passato. I giovani non lo conoscono, le televisioni pubbliche e private gareggiano nell’ignorarlo, il mercato cinematografico guarda in un’unica direzione... Speriamo che questa retrospettiva possa perlomeno contribuire a non lasciarne sfumare del tutto la memoria.

Michele Dell’Ambrogio, Circolo del cinema Bellinzona