Di passaggio in un paese dove si parla una lingua sconosciuta, attraversato da carri armati minacciosi, due sorelle vengono ai ferri corti: Anna (Lindblom) rimprovera a Ester (Thulin), tubercolotica e alcolizzata, di averla sempre tenuta succube, e va in cerca di avventure sessuali; intanto il figlioletto di Anna, Johann (Lindström), con avvisaglie edipiche, fa pipì nei corridoi dell’albergo e conosce una compagnia di nani da circo (gli Eduardini).
Considerato la conclusione della trilogia sull’”assenza di Dio” che comprende Come in uno specchio e Luci d’inverno, è uno dei Bergman più barocchi e carichi di simboli. Lancinante e coraggioso (e anche fin troppo ellittico e allusivo) quando mette a nudo le anime e i corpi, ma decorativo e compiaciuto quando gioca tra Kafka e Fellini. Vergognosa la versione italiana: tagliate tute le scene erotiche (…) e smorzati i dialoghi…, quando non alterati (…) Un modo disonesto per recuperare una lettura spiritualista. Esemplare fotografia di Sven Nykvist.
Dopo l’uscita de Il silenzio ho ricevuto una lettera anonima che conteneva un foglio di carta igienica sporco. Allora, vedete, questo film che oggi sembra così innocente aveva provocato un certo effetto all’epoca. La gente telefonava a casa e minacciava di ucciderci, mia moglie e me. Eravamo sottomessi ad un vero terrore telefonico e ho ricevuto un centinaio di lettere anonime, segno che, sul piano sessuale, questo paese era assai gravemente traumatizzato. Ma poi le cose sono cambiate nel corso degli ultimi anni… (2)