INGMAR BERGMAN
parte prima: Gli anni cinquanta
CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA
settembre 05 - maggio 06

UN’ESTATE D’AMORE
Sommarlek
Svezia 1951

Sceneggiatura: Ingmar Bergman, Herbert Grevenius, dal racconto Mari di Ingmar Bergman; fotografia: Gunnar Fischer; montaggio: Oscar Rosander; musica: Erik Nordgren (Delibes, Chopin, Ciaikovski); interpreti: Maj-Britt Nilsson, Birger Malmsten, Alf Kjellin, Annalisa Ericson, Feorg Funkquist, Stig Olin, Renée Björling, Mimi Pollak, John Botvid, Gunnar Olsson, Douglas Häge, Julia Caesar, Carl Ström, Torsten Lilliecrona…; produzione: Allan Ekelund per Svensk Filmindustri.

35mm, bianco e nero, v. it., 96’

La ballerina Marie (Nilsson) riceve il diario di Henrik (Malmsten), il fidanzato morto in un incidente tredici anni prima e, in un giorno libero dalle prove, raggiunge la località sul mare dove aveva vissuto quell’amore: dopo aver scoperto che il diario le è stato inviato da un maturo amico di famiglia (Funkquist), con il quale aveva avuto una squallida relazione dopo la scomparsa di Henrik, Marie consegnerà lo scritto a un giornalista (Kjellin) innamorato di lei.

L’amore, la tragedia e il tempo: Bergman racconta una breve e intensa passione, dilatata nel ricordo e nella realtà dal suo drammatico epilogo fino a provocare un blocco emotivo che sfocia in amare riflessioni sull’amore e sul destino. Contro ogni previsione, però, sceglie un finale aperto alla speranza e alla necessità di ricominciare a vivere con nuova energia. Per il regista, è il primo film in cui si sia sentito davvero in grado di esprimersi. Oltre alla consueta, intensa bellezza del paesaggio, tutt’uno con quello interiore della protagonista, va sottolineato l’uso programmatico della colonna sonora (dove predominano Ciaikovski e Chopin) che cadenza con puntualità l’atmosfera e i passaggi evolutivi del racconto.

Per la prima volta mi sentivo bene, in equilibrio…beh, insomma, non del tutto, ma un po’ sì…Mi sentivo più sicuro, ero meno aggressivo, potevo lavorare meglio con l’operatore e l?quipe, non li insultavo più di continuo e per la prima volta sentivo che quello era il mio film. Non proprio esattamente, ma era quasi esattamente ciò che desideravo fare.(1)