Ermannno
Olmi
Il mestiere del cinema

16.09.04 / 12.11.04

CIRCOLO
DEL
CINEMA
BELLINZONA
IL MESTIERE DEL CINEMA

Ermanno Olmi

19 settembre 2004  - 12 novembre 2004
Il mestiere delle armi – Li ultimi fatti d’arme dello Ill.mo Sig.r Joanni da le Bande Nere
Italia/Francia/Germania 2001
Soggetto e sceneggiatura: Ermanno Olmi; fotografia: Fabio Olmi; montaggio: Paolo Cottignola; musica: Fabio Vacchi, Igor Strawinsky («Symphony of Psalms»: «Expectas, expectavi Dominum» nell’esecuzione di Lorin Maazel); interpreti: Hristo Jivkov, Sergio Grammatico, Dimitar Ratchkov, Dessy Tenekedjieva, Sandra Ceccarelli, Fabio Giubbani, Sasa Vuliceviv...; produzione: Luigi Musini e Roberto Cicutto per Cinema Undici/Raicinema/Studiocanal/Taurusproduktion.
35mm, colore, v.o. st. f/t, 109’
Vincitore di nove David di Donatello.
1526: alle porte di Mantova, il ventottenne condottiero Giovanni delle Bande Nere (Jivkov), comandante delle truppe pontificie, cerca di contrastare la discesa dei Lanzichenecchi di Carlo V. Viene ferito a tradimento da un colpo di falconetto, perde la gamba, e dopo un’orrenda agonia muore rimpianto da tutti.
L’introduzione delle armi da fuoco rivoluziona la guerra: ma Olmi non insiste più di tanto sul passato come specchio del presente, e mette in secondo piano il discorso pacifista. Evita la grandeur del kolossal e come sempre si interessa agli umili, alle vittime, o ai soldati bestemmiatori che fanno a pezzi un crocifisso per bruciarlo. Aiutato dal figlio Fabio (direttore della fotografia), dipinge una pianura padana fredda, gelida, nebbiosa, vera. Ma soprattutto è affascinato da un giovane eroe santo e dannato, amato dalle donne e vittima della politica (decisivo fu il doppio gioco del marchese mantovano Federico Gonzaga [Grammatico]). Ed è stato questo lato ad affascinare il pubblico italiano, che ha premiato a sorpresa un film anche difficile e sfuggente; mentre i critici l’hanno apprezzato come classica parabola sulla caducità della vita, in cui «ogni dettaglio, l’ansimare di una fuga o il guizzare di una candela, sembra messo direttamente davanti all’occhio di Dio» [Magris].
(Mereghetti)
La bellezza di questo film ha qualcosa di indefinibile, non è cioè circoscrivibile, limitabile a singoli aspetti. Ne Il mestiere delle armi si giustappongono, già a partire dal prologo..., tre dimensioni. C’è prima di tutto la dimensione mitica, originaria, che è quella del «mestiere delle armi», evocata nel titolo e messa immediatamente in campo, nell’immagine del guerriero dal volto coperto, della selva delle lance, di un mondo cavalleresco percepito per lo più dallo sguardo di un bambino (...) C’è poi la dimensione storica, in tutte le possibili accezioni del termine (...) C’è infine la dimensione fenomenologica, quella dei comportamenti, dello sguardo quotidiano sulle cose che accadono: il dolore, lo stupore, le passioni, il tempo atmosferico, il succedersi delle stagioni.
(Costa)