CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

home


TERRE DI NESSUNO
5 film dell'est europeo

per i 10 anni della fondazione Montecinemaverità

24 ottobre - 22 novembre 2002

Da 10 anni la Fondazione Montecinemaverità sostiene progetti di cinema indipendente provenienti dal sud del mondo. Ma giustamente in questo concetto di sud è incluso anche l’est europeo, che dopo la caduta dei regimi comunisti è diventato una sterminata terra di nessuno (o di tutti), dove pochi nuovi ricchi si arricchiscono sempre di più, dove i clan mafiosi dettano legge con la forza e dove la maggior parte della popolazione assapora il gusto amaro della libertà conquistata, vale a dire la mancanza di lavoro, l’esplosione dei costi, la perdita dei diritti sociali e quindi enormi ristrettezze economiche. In questa landa desolata, dove i perduti valori sono stati sostituiti con l’unico che ormai l’occidente conosce, quello del denaro, anche il cinema, una volta statale e fiorente, fiore all’occhiello delle varie nazioni e dei festival internazionali, ha dovuto inchinarsi alle leggi del mercato e ridursi quasi sempre a paccottiglia preconfezionata per gusti omologati. Eppure qua e là, pur tra mille difficoltà e solo grazie ad illuminate coproduzioni con le nazioni europee più benestanti, c’è ancora qualcuno tanto pazzo da resistere e da difendere un’idea di cinema d’autore non contaminata dalle mode imperanti, qualcuno che si ricorda di come in un passato dominato dall’intransigenza e dalle censure abbiano pur potuto vivere ed operare gente come Ejzenstejn e Tarkowski, Jancsó e Szabo, Wajda e Kieslowski, Menzel e Forman, e tanti, tanti altri.

Fra questi il più vecchio è il rumeno Lucian Pintilie, quasi settantenne, formatosi nel teatro e vissuto per un certo periodo in Francia, che non ha mai smesso di rileggere criticamente la storia del suo paese e che con Terminus Paradis, il film che inaugura questa rassegna, traccia un quadro senza speranza della Romania di oggi. Più di una volta, sotto Ceausescu, Pintilie ha avuto problemi con la censura: dopo il suo film Reconstituirea (La ricostruzione, 1969), è stato praticamente costretto ad emigrare a Parigi; tornato in patria dieci anni dopo, si vede bloccato il suo nuovo progetto, che uscirà soltanto nel 1991. Ma dopo la caduta del dittatore, altri problemi lo assillano: tanto che Pintilie può tornare a far cinema solo grazie all’appoggio del produttore, suo compatriota ma emigrato in Francia, Marin Karmitz.

Un altro grande isolato, il siberiano Aleksandr Sokurov, ha dovuto subire dieci anni di ostracismo da parte del regime sovietico (1978-1988), prima che la sua opera (una ventina di documentari, diversi cortometraggi e un paio di progetti di finzione) potesse essere vista in patria. Il suo cinema è un oggetto alieno, si colloca agli antipodi della fiction narrativa dominante: Sokurov non intende mai riprodurre la realtà, il suo è un lavoro sugli aspetti pittorici dell’immagine e su quelli antinaturalistici del sonoro, con l’obiettivo di creare delle elegie visive dal forte potere suggestivo. Certo, Moloch, parodia grottesca di Hitler, introduce anche una dimensione drammaturgica che è assente nei suoi capolavori lirici come Madre e figlio (1997), ma per lui la rappresentazione cinematografica rimane sempre artificiale, quasi un controcanto della realtà o, nel caso di Moloch, della Storia.

L’ungherese Bèla Tarr, attivo fin dal 1977 (Nido familiare) non sembra invece essere stato vittima di particolari censure, anche perché il suo paese era senz’altro il più aperto fra quelli del blocco dell’est.

Ma con Almanacco d’autunno (1984) comincia a percorrere una strada che lo porterà sempre più lontano dal cinema di consumo corrente, fino alla realizzazione dello sterminato Sátántangó (1991-1994, che dura oltre sette ore!) e dell’ultimo, travagliatissimo sul piano produttivo, Werckmeister harmóniák: il suo lavoro si concentra essenzialmente sull’irruzione devastante dello spazio nell’immagine e sulla dilatazione del tempo in lunghissimi piani-sequenza; gli esseri umani, quasi ridotti a larve disperate nella loro banale esistenza, non fanno che aggirarsi inutilmente nel piatto paesaggio magiaro, metafora del loro universo interiore senza più nessuna prospettiva. È chiaro che un cinema del genere, radicalmente antinarrativo e lentissimo, non può che essere inviso a tutti coloro che oggi, in Ungheria come altrove, pensano ad un film come a una merce da vendere.

E poi ci sono i giovani, gli esordienti: non solo il bosniaco Danis Tanovic (meritatamente baciato dalla fortuna con l’Oscar al bellissimo No Man’s Land, riflessione agrodolce sulla stupidità crudele di ogni guerra); ma anche chi per ora è rimasto nell’ombra, come l’albanese Gjergj Xhuvani, che con il suo Slogans ha saputo rileggere in modo leggero ma intelligente la triste epoca del regime comunista di Enver Hoxa nel suo sfortunato paese.

A parte No Man’s Land, che ha ormai fatto il giro del mondo mietendo successi, non si vedranno mai questi film sugli schermi. L’occasione è quindi imperdibile per quelli che al cinema chiedono una forma di resistenza contro la banalità e l’impoverimento spirituale. Un grande grazie a tutti coloro che hanno lottato e investito il proprio denaro affinché vedessero la luce, e in particolare alla Fondazione Montecinemaverità che ci ha creduto e ha contribuito a sostenerli.

Michele Dell’Ambrogio
Circolo del cinema Bellinzona

 

TOP