CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Emir Kusturica

Crna mack, beli macor
Gatto nero gatto bianco Francia-Germania-Jugoslavia 1998

Sceneggiatura: Gordan Mihic, Emir Kusturica; fotografia: Thierry Arbogast, Michel Amathieu; Musica: D. Nele Karajilic, Vajislav Aralica, Dejo Sparavalo; montaggio: Scetolic Mica Zajc; interpreti: Florijan Ajdini, Branka Katic, Bajram Severdzan, Sabri Sulejmani, Zabit Memedov, Srdan Todorovic, Ljubica Adzovic, Jasar Destani, Adnan Bekir, Salija Ibraimova, Stojan Sotirov, Predrag Pepi Lakovic, Predrag Miki Manojlovic; produzione: Karl Baumgartner per Ciby 2000 (Parigi)/Pandora Film (Francoforte)/Komuna (Belgrado).

All'origine c'è un documentario su un gruppo musicale gitano, i Muzika Akrobatica, prodotto da una rete tedesca. Poi, però, le cose si complicano. Kusturica, durante i sopralluoghi, viene a conoscenza di un numero imprecisato di vicende strampalate e interessanti, come quella del nonno morto poco prima di un matrimonio, conservato sotto ghiaccio dai parenti per non rinviare la cerimonia, e legge "I racconti di Odessa" di Babel, in particolare "Il Re", rimanendo colpito dalla sensibilità dello scrittore per i criminali con un punto debole (...)

Kusturica ha dovuto aspettare l'opera sesta per abbandonarsi senza ritegno al piacere della comicità. Gatto nero gatto bianco è infatti il suo film più affettuoso e solare, divertito e sereno, una comprensibile boccata d'aria dopo il travaglio di Underground e i suoi sgradevoli postumi. Schematizzando, si potrebbe dire che esso rappresenta una variazione sul tema di Il tempo dei gitani, senza contaminazioni epiche e melodrammatiche e, soprattutto, senza un background sociale, che è possibile intravvedere solo in filigrana. Niente più peregrinazioni attraverso la frontiera, dunque, con bambini comprati per "caritare", ragazze destinate a prostituirsi e giovani avviati al furto, niente più strazianti addii, sorelle ospedalizzate, amicizie e amori traditi. Il popolo Rom è ancora lì, con la sua primigenia irriducibilità a qualsiasi gabbia collettiva, un tratto aristocratico che non lo abbandona anche quando delinque o mendica, una resistenza alle sollecitazioni del denaro e del consumismo che balza agli occhi pur in presenza dell'accumulazione - delle banconote e degli oggetti. Ma, per una volta, l'occhio del regista sembra concentrarsi sul meraviglioso libro delle caricature che esso propone, in una ricognizione ammiccante e comprensiva, in qualche modo ariostesca, che non esclude il rimpianto nostalgico e si traduce, appunto, in una sorta di realismo magico.

(Paolo Vecchi, in "Cineforum", 379, novembre 1998)

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