CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Takeshi Kitano

Il silenzio sul mare

di Takeshi Kitano, Giappone 1991

Titolo originale: Ano natsu ichiban shizukana umi; soggetto e sceneggiatura: T. Kitano; fotografia: Katsumi Yanagishima; montaggio: T. Kitano; musica: Jo Hisaishi; interpreti: Kurodo Maki, Hiroko Oshima, Sabu Kawahara, Susumu Terajima; produzione: Masayuki Mori e Takio Yoshida per Office Kitano.

35 mm, colore, v.o. st. it., 101'

La vita del sordomuto Shigeru, che di giorno fa il netturbino, procede tranquilla; fino a quando, tra l'immondizia, il giovane scopre una tavola da surf abbandonata. Il mare s'increspa. Shigeru adatta la tavola e si tuffa goffamente nelle onde sotto lo sguardo tenero della sua compagna e quello divertito degli amici. E' l'inizio della passione per il surf. Shigeru tralascia il lavoro e diventa esperto. Entrato nel gruppo dei migliori, un giorno piovoso, Shigeru scompare, lasciando la tavola a galleggiare sul bagnasciuga, tra le onde di nuovo calme.

Il silenzio sul mare è un caso limite, perché, in un'arte che tende alla purezza, si pone come opera maggiormente scarnificata e insieme non rinuncia ad essere un esempio di espressione nipponica. Le sclerotizzazioni delle relazioni tra i personaggi, la riduzione dei dialoghi, la scelta degli ambienti nella direzione di un allontanamento dalla città assumono qui un carattere essenziale. Ciò che prolifera in un terreno così desolato è la nuda presenza dei personaggi, messi a confronto con degli scenari che li superano o addirittura li inghiottono: La grammatica cinematografica si semplifica, tanto da raggiungere la purezza degli haiku, dove la forza del testo non è data dal sintagma, ma dall'accostamento con il successivo; nello spazio tra i versi. Allo stesso modo tra piano medio, raffigurante il personaggio con sguardo in macchina, e il totale corrispondente, dedicato al luogo della scena, si crea una distanza capace di recuperare una purezza di rappresentazione, originaria e problematica. Se Kitano si pone come uno dei più raffinati artefici di ellissi, è perché sa creare a partire da una stessa scena una serie di variazioni incredibili o, più precisamente, perché è in fondo uno dei pochi registi contemporanei a non aver paura di affidarsi al vuoto, sia quello interno alla scena, sia quello metafisico che unisce e separa i fotogrammi. Questa sensazione diventa poi palpabile, quando il suo cinema (che non di rado si sovrappone all'"uomo") si confronta con l'oceano.

(C. Chatrian, in Kitano Beat Takeshi, a cura di M. Fadda e Rinaldo Censi, Parma, Sorbini, 1998)

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