CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Carl Theodor Dreyer
e l’etica dello sguardo
LA PASSION DE JEANNE D’ARC
La passione di Giovanna d’Arco
Regia: Carl Theodor Dreyer; soggetto: dal romanzo “Vie de Jeanne d’Arc” di Joseph Delteil e dagli atti del processo a Giovanna d’Arco; sceneggiatura: Carl Th. Dreyer; fotografia: Rudolf Maté; scenografia: Hermann Warm e Jean Hugo.
Interpreti: Renée Falconetti, Eugéne Silvain, Maurice Schutz, Michel Simon, Antoin Artaud, Ravet, André Berley; Francia 1928; durata 84’; muto; didascalie francese; st. italiano; 35 mm
La celebre storia della pulzella di Orléans (Falconetti) raccontata in un solo processo e in una sola giornata, tra il palazzo di giustizia e l’attigua piazza di Rouen. Con l’aiuto dello storico Pierre Champion, Dreyer concentra tempo e spazio per andare oltre la leggenda e “raggiungere la verità estetica e psicologica del soggetto”. Prodotto dalla Société Générale de Film per creare un pendant femminile al “Napoléon” di Abel Gance, il film non mostra infatti l’intrepida eroina della tradizione, bensì la ragazza qualunque oppressa dal potere, pura, visionaria e sola. È uno dei film chiave per comprendere la figura della donna nel cinema di Dreyer, ed è anche uno dei capolavori del muto, in equilibrio tra reportage e cinema sperimentale. Desiderando ma non potendo utilizzare il sonoro per problemi tecnici, il regista scelse comunque di lavorare quasi esclusivamente sul primo e sul primissimo piano. Spogliata di qualsiasi trucco (anche la rasatura è autentica), dolorosamente illuminata da Rudolph Maté, isolata dal contesto e quasi smembrata nel fisico da inquadrature implacabili, la Falconetti trovò in Giovanna il ruolo principe della sua carriera (ruolo che la produzione voleva affidare a Lillian Gish). Gli 85 mila metri di pellicola girata si ridussero a 2200 nel montaggio definitivo (circa 120’), ma la versione originale ebbe una vita travagliatissima. L’unico negativo esistente venne distrutto in un incendio nei laboratori Ufa di Berlino nel 1928. Dreyer rieditò il film utilizzando gli spezzoni scartati nel montaggio precedente e per molto tempo si credette che anche questa versione fosse andata persa in un incendio del 1929. Casualmente ritrovata nel 1952, la seconda edizione di Dreyer venne manomessa senza scrupoli da G.M. Lo Duca: le didascalie furono scritte sullo sfondo di vetrate pseudomedievali, la velocità aumentata a 24 fotogrammi al secondo invece dei 20 originali per consentire l’inserimento della colonna sonora e il poema sinfonico di Victor Alix e Léon Pouguet, in tredici parti, per seguire la scansione del racconto, venne sostituito con musiche di Albinoni, Vivaldi, Scarlatti e altri. Fortunatamente nel 1981 in un ospedale psichiatrico norvegese fù scoperta una copia del primo negativo, prestata a suo tempo al direttore e mai restituita: è questa la copia che andrebbe vista e non quella di 85’ che circola abitualmente.
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