CIRCOLO DEL CINEMA DI BELLINZONA

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Carl Theodor Dreyer
e l’etica dello sguardo
GERTRUD
Regia: Carl Theodor Dreyer; soggetto: dal dramma omonimo di Hjalmar Soderberg; sceneggiatura: Carl Th. Dreyer; fotografia: Henning Bendtsen; montaggio: Edith Schlüssel; suono: Knud Kristensen; musica: Jorgen Jersild, diretta da Peter Willemoes (canzoni di Grethe Risbjerg Thomsen); scenografia: Kai Rasch.
Interpreti: Nina Pens Rode, Bendt Rothe, Ebbe Rode, Baard Owe, Axel Strbye, Anna Malberg, Edouard Mielche, Vera Gebuhr. Danimarca 1964; durata 113’; v.o; st. italiano; 35 mm
Al marito Gustav, uomo politico svedese che ha appena ricevuto la nomina a ministro della giustizia, Gertrud Kanning dice di volerlo lasciare perché non lo ama più. La donna, infatti, è innamorata del giovane musicista Erland Jansson, che però non ha intenzioni serie, al di là del fatto che continua a gloriarsi in società per la conquista fatta. Lo scrittore Lidman è un altro spasimante della donna, la cui corte però viene rifiutata perché l’uomo trova inconciliabili amore e lavoro. Declinata infine l’offerta di un terzo corteggiatore, il dottor Nygren, che l’aveva invitata a trasferirsi con lui a Parigi, Gertrud va a vivere, da sola, in un’altra città. Molti anni dopo, Nygren si reca a farle visita. I due parlano, stavolta senza nessuna reticenza. Gertrud confessa quanto sia stato importante, nel corso della sua vita, l’amore, soprattutto quello donato.
L’ultimo film di Dreyer, dopo dieci anni di silenzio. Il suo film più scarno, puro, profondo. “Gertrud” è presentato a Parigi ed accolto con ostile freddezza, con l’eccezione di qualche voce isolata. Poi, nel 1968, Jean-Luc Godard scrive che: “Gertrud uguaglia in follia e bellezza le ultime opere di Beethoven”. Dreyer arriva al punto massimo di incandescenza nella sua ricerca di un “teatro concentrato”. Ha detto, riferendosi a Gertrud: “Ciò che m’interessa – ben prima che non la tecnica – è riprodurre i sentimenti dei personaggi dei miei film. Riprodurre il più sinceramente possibile dei sentimenti più sinceri possibile.” In larghi piani, con lenti movimenti di macchina, in lunghi momenti fissi e frontali, Dreyer guarda e ascolta Gertrud che percorre e ripercorre le tappe della sua esistenza e ne tira le somme. Spazi e parole. Sguardi e silenzi. Pacatezza e intensità per scavare in un’interiorità emotivamente ricchissima, dentro una vita che è stata ricerca e dono di amore.
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