Circolo del cinema di Bellinzona

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CH-6500 Bellinzona

6 SETTEMBRE 2014 -

11 MAGGIO 2015

ROBERT ALTMAN

10 film degli anni Settanta

 

“Il cinema americano va malissimo. Abbiamo un sacco di talenti che non possono fare film perché le grandi compagnie mettono loro continuamente i bastoni tra le ruote. Se ci riescono, debbono farlo quasi di nascosto o, peggio, nascondendosi e umiliandosi come talenti. Risultato? Una quantità di film esaltati dalla pubblicità, festeggiatissimi dal pubblico, ma in cui di qualità vere e autentiche non ce ne sono più di tante. […] E poi perché mai il cinema deve essere considerato un’industria? Se il cinema morirà, sarà proprio perché era arte, era cultura, e l’hanno cacciato a forza tra i ‘profitti e perdite’.”

Così si esprimeva Robert Altman nel 1976, ma avrebbe potuto dire le stesse cose anche prima, o anche dopo, fino al 2006, anno della sua morte. E le sue parole suonano più attuali che mai.
Il regista di Kansas City (nato nel 1925) ha segnato in modo indelebile il cinema americano, ma non può essere paragonato a nessun altro. E non ha lasciato eredi, a parte forse Paul Thomas Anderson, che non molto tempo fa si è apertamente richiamato alla sua cifra stilistica. Sbrigativamente, lo si potrebbe inserire in quel “movimento” chiamato “Nuova Hollywood”, in cui si è soliti collocare anche registi del calibro di Spielberg, Scorsese o Coppola, e che ha sconvolto le regole del cinema classico americano. Ma Altman è rimasto un solitario, profondamente americano e antiamericano nello stesso tempo, che non si è limitato a demolire il mito dell’American Way of Life, proponendo personaggi e stili di vita radicalmente opposti al sistema dominante, ma è riuscito a comporre un enorme affresco del suo paese, illuminandolo in tutta la sua, perversa, complessità. Come hanno individuato i critici più acuti già negli anni ’70, il cinema di Altman è sempre teso alla rappresentazione del caos che avvolge la realtà fino a renderla irriconoscibile. E per riuscire in questa impresa, occorreva una regia altrettanto caotica, una sintassi senza regole, debordante ma paradossalmente calcolatissima, dove potesse emergere la coralità disorientante dell’affannarsi umano attorno a futili obiettivi. Spesso i suoi film (come M.A.S.H., Nashville, A Wedding e più tardi The Players, Short Cuts, Prêt-à-porter, Gosford Park) sono popolati da una quantità impressionante di personaggi principali, che danno vita a un caleidoscopico spaccato della contemporaneità americana, dove non ci sono più “eroi”, né “buoni” e “cattivi”, ma solo piccole individualità che si muovono pateticamente sullo sfondo di una civiltà in pieno declino.
Autore tra i più prolifici del cinema americano (una quarantina di film di finzione dal 1957 al 2006, più una serie impressionante di documentari, regie televisive e teatrali), Altman, perennemente in rotta con il sistema hollywoodiano che definiva “un posto di tagliagole”, si è generosamente prodigato nel rendere in immagini la multiforme e scomposta realtà che aveva sotto gli occhi, senza la presunzione di lanciare “messaggi” o di farsi paladino di qualsivoglia ideologia o morale. Lucido testimone, certo disilluso, del suo tempo, lontano da ogni forma di intellettualismo e di volontà predicatoria, innamorato di tutti i suoi attori e da loro pienamente corrisposto, ha attraversato mezzo secolo di storia americana registrandone le crepe profonde e il progressivo crollo dei valori su cui la nazione si era fondata.
La nostra rassegna si limita alla produzione degli anni Settanta, quando, dopo la Palma d’oro ottenuta a Cannes con M.A.S.H. (Altman aveva debuttato nel 1956 con un piccolo film sulla delinquenza giovanile, The Delinquents, ed era stato nel decennio successivo molto attivo come regista di serie televisive e di documentari), gli viene riconosciuto dalle major hollywoodiane lo statuto di autore, più o meno libero di realizzare ciò che vuole. È il periodo in cui il regista si dedica alla rivisitazione radicale dei generi cinematografici tradizionali (la fantascienza, il western, il noir, il gangster film…), fino ad approdare a metà del decennio a quello che è unanimemente considerato uno dei suoi capolavori, Nashville, ritratto corale di un’America allo sbando girato nella capitale della musica country. Sono gli anni in cui Altman realizza molte delle sue opere migliori, destinate a rimanere pietre miliari nella storia del cinema. Poi ci sarà, inevitabile, la rottura con Hollywood agli inizi degli anni Ottanta, il trasferimento dell’attività tra Parigi e New York. E poi ancora il ritorno nella mecca di Los Angeles nel decennio successivo, senza però mai rinunciare al suo sferzante punto di vista. Ma questa è un’altra storia, che magari potremo raccontare un’altra volta.



Michele Dell’Ambrogio

Circolo del cinema Bellinzona





Per l’ottenimento delle copie e dei diritti si ringraziano:

  1. Cinémathèque suisse, Losanna

  2. Praesens Film, Zürich

  3. Park Circus, Glasgow

  4. Hollywood Classics, London