David Lynch

Circolo del cinema di Bellinzona

casella postale 1202

CH6500 Bellinzona

BELLINZONA _ LUGANO _ LOCARNO

settembre 2011 _ MAGGIO 2012

 

La figura di David Lynch, nel cinema contemporaneo, appare come un oggetto anomalo, difficilmente inquadrabile con i parametri cinematografici cui si fa riferimento per altri autori. Formatosi nel mondo dell’arte e approdato al cinema quasi per caso, il regista americano trascende costantemente le categorie del reale e ci costringe ad un’immersione totale nel mondo dell’immaginario e dell’inconscio, popolato da fantasmi  e ossessioni personali inquietanti, che possono affascinare ma anche disturbare le nostre abitudini percettive. Se ci sono nel suo cinema ascendenze più o meno attendibili, queste vanno probabilmente ricercate nell’esperienza dei surrealisti, di Buñuel in primis, che ha sempre sperimentato, fin dagli esordi, la messa in scena dei sogni e dei fantasmi, arrivando fino a tessere enigmatici ed inestricabili intrecci tra mondo reale e universo onirico. Oppure, esulando dal cinema, nell’opera di Kafka (“l’unico artista che io sento potrebbe essere mio fratello”). Ma Lynch si spinge ancora oltre, perché si avventura senza remore nei territori dell’illogico e del contraddittorio, scardinando i princìpi più solidi messi in atto dallo spettatore per orientarsi nell’universo immaginario del cinema, come quello, ad esempio, dell’identità dei personaggi. In Strade perdute, a metà del film il protagonista cambia identità e immagine, così come in Mulholland Drive i due personaggi femminili si scambiano identità, nomi e ruoli, mandando in frantumi le nostre già fragili tracce interpretative e lasciandoci del tutto sconcertati, in uno stato di smarrimento che perdurerà ben oltre la fine del film. In molti film di Lynch (nei due appena citati e più ancora in INLAND EMPIRE), chi si  appresta ad una navigazione tutto sommato tranquilla nell’universo fantasmatico dell’autore, perde ad un certo punto ogni capacità di orientamento e viene inevitabilmente risucchiato in un vortice allucinatorio, che può lasciarlo appagato solo a condizione di non voler fornire spiegazioni o commenti. Certo, non mancano gli esegeti  di Lynch, come non mancano quelli di Kafka, ma si ha l’impressione, anche perché le interpretazioni finiscono inevitabilmente per divergere, che i tentativi di far quadrare razionalmente gli elementi dissonanti  che ci turbano rispondano più che altro alla necessità di superare lo spaesamento in cui i suoi film ci hanno sprofondato.

Ripercorrere i film di Lynch da Eraserhead a INLAND EMPIRE, può comunque servire, oltre che a immergerci nell’affascinante universo psichico dell’autore, a farci partecipi della sua evoluzione creativa, lungo un percorso fatto di coerenza ma anche di sostanziali innovazioni. Se il film d’esordio ci sembrerà “disgustoso, divertente, ipnotico e appiccicoso come un sogno dalle cui sensazioni non si riesce a liberarsi” (1), il successivo The Elephant Man appare molto più tradizionale nel suo impianto narrativo, perché quella che può sembrare fascinazione per la deformità si tramuta in effetti in atto d’accusa contro le nostre perversioni voyeuristiche. Se in Velluto blu si mescolano atmosfere malsane e perverse con tocchi di candida innocenza, in Cuore selvaggio è il cinema stesso (con i suoi generi) ad essere enfatizzato e portato all’eccesso fino alla sua disintegrazione. Se Strade perdute inaugura quell’esplorazione di un mondo interiore indecifrabile che sarà perfezionata in Mulholland Drive e in INLAND EMPIRE, in Una storia vera rimaniamo sbalorditi e ammirati perché impariamo a conoscere un altro Lynch, tenero e lineare, che rende omaggio a un’umanità semplice e ai paesaggi  dell’America profonda.

La rassegna si chiude con una piccola chicca: i corti realizzati da Lynch tra il 1966, quando era ancora studente alla Pennsylvania Academy of Fine Arts,  e il 1995, come autore ormai affermato.

Con non poco rammarico, abbiamo dovuto escludere per la durata eccessiva la trentina di episodi del serial televisivo sui misteri di Twin Peaks (1990-1991), sicuramente l’opera più conosciuta di Lynch dal grande pubblico e che ha tutto il fascino e il valore dei suoi film migliori. Forse non altrettanto si può dire del  prequel cinematografico che invece abbiamo inserito nel programma, e che comunque deve starci, dal momento che la retrospettiva intende esplorare nel modo più esaustivo possibile l’opera di Lynch per il grande schermo.


Michele Dell’Ambrogio

Circolo del cinema Bellinzona


(1)Daniela Catelli, in Dizionario dei registi del cinema mondiale, a cura di Gian Piero Brunetta, Torino, Einaudi, 2008

Schede sui film da:

  1. Il Mereghetti. Dizionario dei film 2010, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2009;

  2. Il Morandini. Dizionario dei film 1999, Bologna, Zanichelli, 1998;

  3. Riccardo Caccia, David Lynch, Milano, Il Castoro, 1992;

  4. Roy Menarini, Il cinema di David Lynch, Alessandria, Falsopiano, 2002;

  5. David Lynch, a cura di Paolo Bertetto, Venezia, Marsilio, 2008;

  6. “Cineforum”, 462, marzo 2007:
    www.it.wikipedia.org.



Per l’ottenimento delle copie e dei diritti si ringraziano:

  1. Cinémathèque Suisse, Lausanne

  2. MK2, Paris

  3. Tamasa Distribution, Paris

  4. Hollywood Classic, London

  5. Universal Pictures, Zürich

  6. Frenetic Films, Zürich

  7. Praesens Film, Zürich


  8. In alcuni casi non è stato possibile risalire agli aventi diritto. Siamo comunque disponibili a rispondere ad eventuali pretese in tal senso.