Circolo del cinema di Bellinzona

casella postale 1202

CH6500 Bellinzona

 

1 due 100 officine

Documentario di Danilo Catti, Ch 2011


Ressources humaines

Film di Laurent Cantet, F 2000


In fabbrica

Documentario di Francesca Comencini, I 2007


Grissinopoli

Documentario di Darío Doria, Argentina 2004


Made in Dagenham / We Want Sex

Film di Nigel Cole, Gb 2010


Les Lip – L’imagination au pouvoir

Documentario di Christian Rouaud, F 2007

GLI ALTRI APPUNTAMENTI


Mostra di Francesco Girardi “Viaggio fotografico nelle Officine”

La mostra è aperta da mercoledì 5 ottobre a venerdì 16 dicembre nel Foyer al primo piano del Teatro Sociale in occasione di spettacoli al Teatro. Vernissage mercoledì 5 ottobre, ore 20.00, prima del concerto di Dodo Hug e Efisio Contini.

Francesco Girardi, fotografo professionista e operaio presso le Officine ferroviarie di Bellinzona, ha ritratto gli stabilimenti FFS cogliendo il valore estetico del luogo dove lavora e della materia sulla quale quotidianamente interviene, il ferro dei vagoni merci. Il suo sguardo abbraccia il contesto delle Officine dapprima da lontano, fissando scorci suggestivi di architetture e figure dai contorni in parte evanescenti, per poi puntare dritto al cuore con una visione ravvicinata dei vagoni che permette a chi guarda di viaggiare in un singolare mondo vicino all'arte informale materica. In biancoenero e a colori, l'universo macro e micro delle Officine è ripreso con grande sensibilità artistica e attenzione per il dettaglio. L'autore istaura un fruttuoso dialogo con gli oggetti fotografati, che gli riservano un doppio effetto a sorpresa: da una parte le immagini dei vagoni, la cui superficie rugginosa e segnata è indagata dall'obbiettivo come fosse un'epidermide, rivelano a livello cellulare risultati quasi da pittura informale, dall'altra quelle relative al paesaggio industriale, sottoposte in fase di sviluppo ad un particolare processo di elaborazione, rispondono con risultati inaspettati. Attraverso atmosfere e visioni inedite, le fotografie di Girardi offrono all'osservatore un imperdibile viaggio negli spazi delle Officine.

Franceso Girardi, nato nel 1974, è fotografo dal 1992.

(Francesca Cecini-Strozzi)


Sorriso amaro – Canti di lavoro e d’autore

Concerto con Dodo Hug (voce, chitarra, cuatro, percussioni) e Efisio Contini (voce, chitarra, mandolino, effetti)

I canti di lavoro raccontano la miseria e le sofferenze degli operai delle filande e delle mondine

delle risaie della pianura padana all’inizio del secolo scorso. Le loro condizioni di lavoro e di salute erano quanto mai precarie e difficoltose: il paludismo e la febbre gialla colpivano un grande numero di persone che sacrificavano i migliori anni al duro lavoro per un salario che permetteva loro a pena di sopravvivere. Le loro sofferenze, ma anche i loro desideri, gli amori, le rivendicazioni e le speranze si riflettono nelle melodie dolci e malinconiche e nei testi dei canti di lavoro, a volte riflessivi a volte ribelli, caduti oggi quasi nell’oblio. Questi canti vengono oggi interpretati e riproposti con grande passione da Dodo Hug ed Efisio Contini.

Oggi sono ormai quasi esclusivamente le macchine a fare i lavori più impegnativi e alienanti e il dolore e la miseria che univa gli operai delle officine e i lavoratori dei campi sembrano solo un ricordo dei tempi lontani. In realtà, uno sguardo più attento permette facilmente di constatare che oggi gran parte dei lavori più umili e mal retribuiti sono lasciati ai migranti provenienti dal sud del mondo e dall’est dell’Europa. L’ascolto dei canti di lavoro proposti da Dodo Hug ed Efisio Contini può contribuire a scoprire realtà e tematiche che, seppur nascoste, continuano ad essere attuali anche ai nostri giorni.

(www.dodohug.ch)


Come non perdere il treno

Reti di trasporto ferroviario e prospettive socioeconomiche nel Ticino

Dibattito organizzato dall’Associazione Giù le mani con…


Fabbrica

Spettacolo teatrale di e con Ascanio Celestini

Fabbrica è una produzione di Fabbrica.
“Fabbrica” è un racconto teatrale in forma di lettera, la storia di un capoforno alla fine della seconda guerra mondiale raccontata da un operaio che viene assunto per sbaglio. Il capoforno parla della sua famiglia. Del padre e del nonno che hanno lavorato nella fabbrica quando il lavoro veniva raccontato all’esterno in maniera epica. Per il capoforno la fabbrica ha un centro e questo centro è l’altoforno. La fabbrica lavora per il buon funzionamento dell’altoforno e i gas dell’altoforno trasformati in energia elettrica mandano avanti lo stabilimento. L’antica fabbrica aveva bisogno di operai d’acciaio e i loro nomi erano Libero, Veraspiritanova, Guerriero. L’età di mezzo ha conosciuto l’aristocrazia operaia con gli operai anarchici e comunisti che neanche il fascismo licenziava perché essi si rendevano indispensabili alla produzione di guerra. Ma l’età contemporanea ha bisogno di una fabbrica senza operai. Una fabbrica vuota dove gli unici operai che la abitano sono quelli che la fabbrica non riesce a cacciare via. I deformi, quelli che nella fabbrica hanno trovato la disgrazia. Quelli che hanno sposato la fabbrica lasciandole una parte del loro corpo, della loro storie e della loro identità.

Il racconto di Fabbrica è nato come una lettera, l’ultima di tante che l’operaio-narratore ha scritto quotidianamente alla madre. Ha scritto una lettera al giorno per più di cinquant’anni e ne ha saltata soltanto una. È la lettera del giorno della sua disgrazia. È la disgrazia che l’ha lasciato segnato nel corpo, una menomazione, ma è anche il lasciapassare per la fabbrica, la causa che l’ha fatto lavorare per tanti anni.

Con la scrittura di questa lettera l’operaio-narratore ricostruisce il ponte della memoria. Mette a posto l’ultimo tassello. Ma è il tassello più importante, quello che restituisce senso all’intero percorso della sua vita di operaio e di persona. È l’ultima lettera che scrive, ma racconta del momento di passaggio più importante della sua vita. Il momento nel quale accede alla fabbrica, entra in uno spazio fisico e mentale separato dal resto della città.


Ascanio Celestini è considerato uno dei rappresentanti della seconda generazione del cosiddetto teatro di narrazione: i suoi spettacoli sono fatti di storie raccontate e sono preceduti da un lavoro di raccolta di materiale lungo e approfondito. L'attore-autore fa quindi da filtro, con il suo racconto, fra gli spettatori e i protagonisti dello spettacolo. L'attore in scena rappresenta sé stesso, anche quando parla in prima persona: è qualcuno che racconta una storia.

(www.ascaniocelestini.it)