JOUR DE FÊTE 

Jacques Tati, Francia 1949, versione restaurata a colori nel 1995, 79’

  1. Annunciata dall’arrivo dei carrozzoni delle giostre, la festa di Sainte-Sévère-sur-Indre coinvolge nei suoi preparativi tutti gli abitanti e soprattutto il postino François (Tati), che rimane scioccato da un documentario sull’efficienza del servizio postale americano. Così, il giorno dopo, François cercherà di intensificare la produttività del suo giro in bicicletta con risultati tragicomici.

  2. Il primo lungometraggio di Tati dimostra già la straordinaria fusione di comico e poesia (oltre a una sotterranea quanto precisa osservazione sociologica) che si rivelerà essere la sua personalissima immagine di marca. Senza preoccuparsi troppo della parola (qui i suoi personaggi parlano poco e lui bofonchia frasi in un francese quasi incomprensibile), Tati unisce una comicità bozzettistica, giocata sulle caratterizzazioni dei personaggi – come lo strabico o la vecchia sorda – a un’altra più dinamica e vicina al burlesque (i tentativi di alzare l’albero della cuccagna, la gag ricorrente col calabrone o quella scatenata con la bicicletta che gli sfugge di controllo). A far da collante c’è il suo personaggio, imprevedibile e irresistibile come le disavventure che costellano il suo giro postale à l’américaine, curioso campione della mentalità campagnola francese e “specie di incosciente buonomo al quale tutto sembra riuscire miracolosamente e che in fondo è solo debitore della propria stravagante innocenza” [Prédal]




LES TRIPLETTES DE BELLEVILLE

Sylvain Chomet, Francia/Belgio/Canada/Gb 2003, 80’

  1. Cresciuto con l’amorevole nonna-allenatrice Souza, il ciclista orfano Champion partecipa al Tour de France, ma viene rapito da due misteriosi figuri. Quando l’anziana donna e il cane Bruno seguendone le tracce arriveranno nella megalopoli di Belleville, capiranno perché e riusciranno a salvarlo solo grazie a un trio di stravaganti ex vedette di music hall.

  2. Scritto dal regista, esordiente, e prodotto in occasione delle celebrazioni del centenario del Tour, un ottimo film d’animazione che sembra discendere dal cinema di Tati (in una sequenza si vede il manifesto di Le vacanze di Monsieur Hulot): le parole sono rare e quasi sempre mugugni, la comicità ha un fondo malinconico, la vena poetica è inaspettata e sincera. E il tema dell’ineluttabilità dello scorrere del tempo è svolto con chiarezza struggente. Lo stile grafico, surreale e aggressivo, si avvicina in molte occasioni a quello del Bruno Bozzetto più maturo o dell’illustratore inglese Gerald Scarfe. Il ritmo è indiavolato, con moltissime citazioni musicali, cinefile e sportive: il protagonista somiglia a Fausto Coppi, e vengono esplicitamente omaggiati – tra gli altri – Django Reinhardt, Charles Trenet, Fred Astaire, Joséphine Baker, Glenn Gould e i cartoon di Max Fleischer.




LE BICICLETTE DI PECHINO

Wang Xiaoshuai, Cina/Francia/Taiwan 2001, 113’

  1. Al sedicenne Guei, da poco immigrato nella metropoli, la bicicletta serve per lavorare come pony express; Qin la usa invece per farsi bello con le compagne di scuola. Ma tra furti, inseguimenti, zuffe e compromessi, una bicicletta in due non basta.

  2. Wang mostra una Pechino poco turistica (bagni turchi frequentati da mafiosi, periferie senza un’automobile), dove una bici è uno status symbol e la lotta per la sopravvivenza è giocata a un livello molto più basilare e crudele che in Occidente. Il suo approccio metaforico (descrivere una società partendo da un evento minimo) rende omaggio a De Sica e sembra tenere conto del recente cinema iraniano; mentre lo stile guarda a Taiwan, un po’ compiaciuto tra ellissi e sospensioni. Nei dialoghi si cita anche La storia di Qiu Ju di Zhang Yimou, ma in tono polemico: questa volta non c’è nessuna speranza, e non a caso il film (il quinto di Wang) è stato bloccato dalla censura cinese. Sceneggiano  (con il regista) Tang Danian, Hsu Hsiao-ming e la critica taiwanese Peggy Chiao. Gran premio della giuria a Berlino.



Schede sui film da Il Mereghetti. Dizionario dei film 2011, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2010